Foto di copertina di Grana FIDAL / FIDAL
Quando ho iniziato a scrivere in questo piccolo spazio settimanale l’ho fatto principalmente per provare a dare un modesto contributo alla narrazione dell’atletica in Italia, con il mio punto di vista e non limitandomi alla semplice cronaca delle cose. Un progetto personale nel senso di dare opinioni su quello che accade e stimolare riflessioni di chi legge, ma non personale nel senso di costruito su di me, su chi sono e cosa faccio. Costruito sulle mie idee e i miei pensieri.
È stata una settimana particolare per me. Come molti già sapranno mi sono operato ad entrami i piedi. Resterò ingessato per un paio di settimane, poi inizierà la lunga fase di fisioterapia e riabilitazione. Tornerò a correre in autunno. Non voglio parlare di questo, ma in qualche modo c’entra.
Intanto abbiamo superato i 100 iscritti alla newsletter e ci tenevo a ringraziarvi, perché non è stato e non è un periodo semplice e scrivere mi sta aiutando a non pensarci troppo. E questa è la newsletter numero otto!
Il nome Juliette Whittaker magari non vi dice nulla. Classe 2003, nata in una piccola cittadina del Maryland, a metà strada tra Washington D.C. e Baltimora. Talento cristallino del mezzofondo veloce statunitense. A meno di 20 anni, ancora liceale, infrange il muro dei 2 minuti sugli 800m e diventa la seconda di sempre delle high school. Nello stesso anno si porta a casa il bronzo mondiale under-20 del doppio giro di pista. Nel 2023 viene reclutata della Stanford University, una delle squadre universitarie più ricche, firmando inoltre un contratto con On. Nel 2024 vince entrambi i titoli NCAA degli 800m, i campionati universitari americani, sia indoor che outdoor. Ciliegina sulla torta: qualificazione alle Olimpiadi. A Parigi corre il record personale (1:57.76) in semifinale e settimo posto in finale. Ancora ventenne.
Atleta chiaramente destinata a grandi cose. Juliette soffre di depressione.
Lo ha scritto apertamente su Instagram, decidendo di non restare più in silenzio, raccontando a tutti la propria condizione. Non per suscitare compassione, ma per mostrarsi per quello che è. E mi ha toccato. Sia chiaro, non è la prima atleta di alto/altissimo livello a raccontare della propria condizione. Micheal Phelps, Matteo Berrettini, Simone Biles, Josip Ilicic, Naomi Osaka e tanti altri. Penso di essere stato colpito da questa piccola minuscola notizia per il momento complicato che sto passando, che è solo l’ultimo dei tanti momenti complicati della mia carriera sportiva. Ma allo stesso tempo considero importante fermarsi e riflettere su questi aspetti tanto quanto sulle decine di risultati che ci troviamo di fronte ogni giorno.
Riflettere una volta di più sulla narrazione e sul racconto dello sport, ma da un’altra prospettiva. Spesso si tende a valutare un risultato per quello che è, un tempo o una misura, analizzandone gli aspetti tecnici e tralasciando o mettendo in secondo piano quelli psicologici. Si prendono in considerazione gli allenamenti, la preparazione e il percorso di gare che porta l’atleta a competere, ma la psiche è importante tanto quanto il fisico. Si parla spesso di depressione o crisi post olimpica, un periodo di smarrimento che segue uno dei momenti più importanti della carriera di un atleta. Ma non è solo questo, è tutto quello che sta nel mezzo che conta.
Spesso le persone tendono a vedere i successi degli atleti come apice della loro prestanza fisica e mentale. Si idealizza l’atleta come l’aspirazione massima dell’essere umano, la perfezione. Ma la testa dell’atleta non è solo sopportare la fatica degli allenamenti e delle gare, è qualcosa di più profondo.
I really do have love to give; I just don't know where to put it.
Essere una persona di successo non ti rende automaticamente immune alla depressione. Essere depressi non significa essere tristi. È vedere tutto nero senza capirne il motivo. Significa sentirsi privi di senso e vuoti, e riuscire a riempirsi solo di pensieri negativi. Di sentirsi soli e abbandonati, di sentirsi soffocare dal solo fatto di esistere. Sprofondare dentro sé stessi e non essere in grado più di uscirne. La depressione non è un momento, la depressione è sempre. Senza una ragione precisa. Ed essere atleti forti o fortissimi può aggravare una condizione già difficile, tra burnout, pressioni esterne, aspettative verso sé stessi, crisi dell’impostore e altro.
Non c’è un giorno in cui chi ha la fortuna di avere talento e la capacità di sfruttarlo, ma è fragile dentro non si metta in dubbio. Non c’è un giorno in cui non si chieda se quello che sta facendo abbia senso, se quello che ha per le mani è grazie a quello che fa o se frutto della fortuna, se la vita di cui può godere è davvero la vita che merita di avere. Non c’è un giorno in cui non ci senta insicuri e fuori posto, in cui non ci si chieda se sia stata la scelta giusta fare questa vita. E non è facile dare delle risposte razionali, non è facile farlo da soli, non è facile aprirsi e farsi aiutare.
I social hanno amplificato quest’aura di perfezione attorno alla figura degli atleti d’élite. Sui social vediamo le belle vite degli altri e non vogliamo essere da meno. Cerchiamo di mostrare la versione migliore di noi stessi, artificiosa, dimenticando che sono le nostre debolezze e le nostre fragilità a definirci molto più dei nostri punti di forza. A renderci umani. Fortunatamente lo stigma della salute mentale sta venendo meno, anche nello sport. Perché anche gli atleti migliori del mondo sono umani. E quando un atleta di quel livello decide di aprirsi a chi lo segue e lo vede come punto di riferimento è un momento secondo me ancora più importante del singolo risultato.
Sarà tutto ciò che ho passato nella mia carriera atletica che mi condiziona in queste riflessioni, su quanto sia complicato riuscire a stare bene nonostante tutto. Ma in ogni caso mi sembrava una bella cosa parlarne. Quindi grazie Juliette, per averci ricordato una volta di più cosa voglia dire. Essere fragili e non vergognarsi di esserlo.
Scusate la lunga riflessione, torno a fare il wannabe giornalista. La prossima newsletter sarà più leggera, giuro! Tre cose interessanti dalla settimana, poi ci salutiamo.
Il lancio del disco c’è, anzi CEH
Abbiamo parlato nella seconda newsletter di come il vento influisca sulle misure dei lanciatori, principalmente del disco e del giavellotto. In quell’occasione abbiamo affrontato l’argomento visti i risultati tecnici fuori dal comune del meeting di Ramona grazie al vento contrario forte e al luogo in cui si è svolto l’evento, un campo aperto e non uno stadio. Nel weekend c’è stato il Boris Hanžeković Memorial a Zagabria, meeting di livello Gold, e anche questo si è svolto in uno stadio aperto, ma il vento non ha influito. Perché mentre lo sloveno Kristjan Ceh, classe 99, stava lanciando il suo disco a 72.34m il vento era praticamente nullo.

Il campione europeo in carica e quarto nella finale olimpica di più alto livello della storia si è migliorato di circa mezzo metro. Con questa misura si piazza al sesto posto di sempre e bisogna tornare al 2006 per avere un lancio più lungo escludendo quelli fatti tra i capannoni sperduti nel nulla in Oklahoma. Anche quella volta però, il 73.38m di Gerd Kanter a Helsingborg (Svezia), c’erano le condizioni migliori possibili tra vento forte contrario e campo aperto in un posto dimenticato da Dio. Resta difficile stabilire con precisione quanto possano cambiare i lanci con le diverse condizioni meteo, ma lo sloveno ha dimostrato una volta di più, se ce n’era bisogno, che in una competizione “normale” è l’uomo da battere.
Lo scandalo Cyprusgate
Venerdì si è svolto l’EKO Cyprus International Athletics Meeting allo Stadio Tsirio di Limassol, meeting World Athletics livello Bronze nel sud di Cipro. Tra i partecipanti anche Emmanouil Karalis, bronzo dell’asta a Parigi, e Miltiadis Tentoglou, oro delle Olimpiadi di Tokyo e Parigi nel lungo. Meeting che passa in secondo piano, uno dei tanti in calendario in questo periodo che porta a risultati “da inizio stagione”. Poi però Edoardo Scotti, che lì ha corso i 400m, tramite Instagram ha “denunciato” una situazione che non ha mai vissuto in carriera, ovvero che per qualche oscura ragione i tempi registrati sono tutti più alti di “tre o quattro decimi”. Edoardo spesso le spara grosse, ma in effetti guardando ai risultati c’è qualcosa di particolare, che non vale solo per i primi posti.
Tra tutte le gare del meeting praticamente nessuno ha corso il personale e in pochissimi lo stagionale. E il vento non è una giustificazione, contrario ma mai più forte di -0.9m/s. Considerando i primi tre tempi di ogni gara, facendo qualche calcolo, la differenza media tra la prestazione ottenuta e il risultato migliore del 2024/2025 dell’atleta è di circa 45 centesimi (0.45 secondi). Per fare un esempio nei 100m il colombiano Ronal Longa ha vinto con 10.36 (-0.7m/s), quattro decimi in più del 9.96 corso a Savona nella stessa settimana (+1.7m/s). Quantomeno una strana controprestazione. Dal video della gara dei 400m (gentilmente offerto da Edoardo), al momento unica “prova video”, la differenza con il risultato finale è effettivamente più ampia di quello che ci si aspetterebbe tra tempo elettronico e manuale.
Più atleti hanno denunciato la questione agli organizzatori, ma ovviamente non si può fare nulla. Insomma, è probabile che abbiano fatto un bel pasticcio in quell’isolotto a metà tra Europa e Medio Oriente. Che sia vero o meno non è una bella pubblicità al meeting. Per gli atleti che devono scalare il ranking e corrono in questo genere di eventi per fare punti, rinunciando ad altri magari più comodi, non dev’essere stata una bella esperienza. Anche solo due decimi di errore fanno una differenza enorme, soprattutto in una gara di velocità, non devo spiegare il perché.
Necrologio - Coppa Europa 10.000m
Sono un mezzofondista, faccio (in teoria) i 5.000m e prima o poi raddoppierò la distanza. E ogni anno mi chiedo: davvero abbiamo bisogno della Coppa Europa dei 10.000m? Spesso mi sono risposto onestamente di no, nonostante qualche possibilità di parteciparci la avrei. Mi remo contro, ma ci ho provato a guardarla, e niente. Improponibile. Non ho nulla contro la distanza in sé, a differenza di molti che la vorrebbero cancellare penso sia necessario avere una gara così lunga in pista senza dover per forza passare alla strada allungando dai 5.000m. Però un evento di rappresentativa nazionale dedicato ai diecimila con questo formato non riesce a stuzzicare più nemmeno uno sfegatato come me.
Bisogna cambiare qualcosa.
È facile da capire, si sommano i primi tre tempi per nazione e si fa la classifica. Ma alcune squadre schierano sei corridori e corrono nella batteria forte, altre partecipano senza la squadra completa e ne portano giusto tre, altre schierano solo una persona e non fanno la squadra, altre squadre vengono divise tra prima e seconda serie. Non appassiona, viene snobbata da tifosi, atleti e federazioni. Unica nota positiva (forse) le lepri, che hanno portato le gare ad un più alto livello tecnico del solito, ma la partecipazione è quella che è. Quest’anno quattro squadre maschili e sei femminili in tutto. Spettacolo triste.
Gli altri risultati della settimana, veloci
Qui le cose di Diamond League: probabilmente le sapete già e c’è poco spazio per commentarle. Giusto una cosa: ma cos’ha combinato Ruppert sui 3000 siepi?!
Cose Made in USA
Sound Running Track Fest a Los Angeles con il record messicano e minimo per Tokyo dei 5.000m in 12:58 di Eduardo Herrera, 4:10 nei 1.500m per Athing Mu mentre Kazimierska diventa la terza NCAA di sempre con 4:03, vittoria per Jake Wightman in 3:35, Sinta Vissa ultima sugli 800m in 2:04, l’argento olimpico dei 3000 siepi Rooks al suo secondo tempo in carriera, Linden Hall con 14:43 diventa la seconda australiana di sempre sui 5.000m.
Trayvon Bromell torna a farsi sentire in Florida con l’esordio sui 100m in 9.91, secondo tempo dell’anno al mondo. Non scendeva sotto i 10” dal 2022. Dietro di lui il record nazionale di Porto Rico a 9.95. E torna anche Marie Josee Ta Lou- Smith (36 anni) con un 11.00 ventoso.
La studentessa Alexis Brown diventa la prima universitaria della Seconda Divisione NCAA a scendere sotto gli 11” nei 100m, 10.93 e seconda al mondo quest’anno.
Italiane e italiani che fanno bene in giro
Virginia Troiani stupisce tutti scendendo a 51.33 a Busto Arsizio (da 52.10), quinta di sempre. Tre under-18 a Bressanone corrono sotto i 24” nei 200m. Erika Saraceni record italiano under-20 del triplo (14.01m a 18 anni) e Alessia Succo record italiano under-18 dei 100hs (13.13 a 16 anni). I 1500m maschili si confermano in salute: quattro italiani sotto i 3’40” in pochi giorni, e nessuno si chiama Arese, Riva o Meslek (tra Savona e Brussels). Si rivede un buon Desalu che vince a Brussels con 20.27 e -1.4m/s.
Grazie per essere arrivati fin qua. Buona settimana, alla prossima!
Jacopo
Curiosità dai social
Francesco Puppi knows
Non servono descrizioni
Viva la vita!🥹
Sarò sintetico: mi ci ritrovo🦋
"Shout out" per la citazione a Magnolia