Prefontaine Classic, il migliore di sempre
Circa, e tutto quello che c'è da sapere, quasi - Off Track #14
L’Hayward Field di Eugene, Oregon non è uno stadio come tutti gli altri. È un luogo di culto. Uno stadio che dal 1975 ospita uno dei meeting migliori del mondo, probabilmente IL migliore del mondo. Uno stadio che una volta all’anno ci permette di dimenticarci l’incidente tragico che ha portato via Steve Prefontaine e poterlo vedere ancora una volta vivo nella sua grandezza ed eccentricità. C’è una sorta di Effetto Mandela per il quale tutti sono convinti che l’arcinoto Bill Bowerman fosse l’allenatore di Steve, ma dietro il talento non convenzionale di Pre c’erano principalmente le mani e la testa di Bill Dellinger, passato ai più lo scorso 27 giugno all’età di novantuno anni. Mi piace pensare che Steve, Bowerman (che comunque faceva parte della sua vita atletica e non) e Dellinger fossero sulla cima della torre del Hayward Field, per la prima volta tutti e tre insieme dopo cinquant’anni, a scherzare su chi fosse il vero coach e a godersi lo spettacolo del meeting migliore di sempre.
Perché sì, quello di sabato è stato il meeting di un giorno migliore di sempre. E non lo dico io, lo dice il Competition Performance Ranking di World Athletics. Introdotto dal 2010 questo sistema permette di classificare le competizioni anno dopo anno con un punteggio calcolato in modo un po’ astruso. In parole povere unisce il punteggio di partecipazione (Participation Score), che somma dei punti per i migliori atleti che partecipano nelle diverse gare, con il punteggio dei risultati ottenuti dagli atleti (Result Score) nel corso del meeting. Il totale fa il Competition Score.
Solo nel 2023 c’è stato un meeting con Competition Score più alto, era la finale di Diamond League inserita nel Prefontaine Classic di quella stagione. Essendo la finale di DL si è svolta su due giorni (16 e 17 settembre) e appena tre settimane dopo i Mondiali di Budapest di quell’anno. Questo significa da un lato poter contare su più gare e quindi avere maggiore probabilità di fare punteggi alti, dall’altro avere atleti e atlete in uno dei momenti di maggior forma della stagione. Questo dà maggior valore alle gare di sabato scorso. E ancora di più se si considera il meeting che è stato scalzato dalla seconda posizione: la tappa di Diamond League di Chorzów dell’anno scorso, quella del clamoroso record del mondo dei 3000m di Ingebrigtsen e dell’ennesimo nell'asta di Duplantis. Anche questa inserita in calendario in un momento fortunato, due settimane dopo le Olimpiadi di Parigi.
Per dare dei numeri.
🇺🇸 Prefontaine Classic, DL Finals 2023 (16-17 Set) - 99.156
🇺🇸 Prefontaine Classic 2025 (5 Lug) - 98.121
🇵🇱 Silesia Kamila Skolimowska Memorial 2024 (25 Ago) - 97.178
🇧🇪 Memorial van Damme, DL Finals 2024 (13-14 Set) - 97.032
🇨🇭 Weltklasse Zürich, DL Finals 2022 (7-8 Set) - 96.927
In questo momento siamo a due mesi di distanza dai Mondiali di Tokyo e ciò nonostante è stato staccato lo Silesia Meeting e il Van Damme dell’anno scorso di 943 e 1089 punti rispettivamente e le finali di Zurigo del 2022 di quasi 1200 punti; ed è dietro al Pre Classic di due anni fa di 1035 punti. Tutti meeting post evento internazionale dell’anno (mondiale/olimpiade), tre su quattro svolti su due giornate di gare.
Quindi, sì, quello di sabato è stato il meeting di un giorno migliore di sempre. E questa volta non lo faccio dire al Competition Score di WA, lo dico io e chiunque abbia visto le gare sabato sera, o pomeriggio se era negli Stati Uniti. Dalle pedane dei lanci a quelle dei salti, dalla velocità e soprattutto dal mezzofondo. Non c’è stato un momento delle due ore di diretta in cui non stavamo assistendo ad una prestazione di alto/altissimo livello o a gare avvincenti e combattute. Anzi, c’erano talmente tante cose da mostrare che il ritmo era serratissimo, non si aveva nemmeno il tempo per presentare le gare e delle pedane abbiamo visto ben poco. I soliti problemi delle trasmissioni d’atletica.
Mettiamo in fila qualche riflessione su cos’è successo.
Abbattere muri e condividere la gloria
Beatrice Chebet e Faith Kipyegon sono tanto diverse quanto simili e sabato ne hanno dato l’ennesima dimostrazione, rispettivamente sui 5000m e sui 1500m. Credo che a portarle sulla terra a distanza di sei anni sia stata la stessa navicella proveniente da chissà quale galassia. Di solito si pensa alle gazzelle e alle antilopi quando si parla dello stile di corsa degli atleti e delle atlete del Corno d’Africa, ma Beatrice e Faith non sfoggiano quel tipo di leggerezza. La loro forza è mantenere dal primo all’ultimo metro una facilità prorompente e una fluidità esplosiva uniche, senza far mai trasparire un cenno di stanchezza. La potenza di queste due atlete è la capacità di far apparire semplice anche l’atto più complicato possibile. Sono in grado di far sembrare un record del mondo corso per buona parte in solitudine come se fosse il corso naturale degli eventi, come se fosse scontato. Non sono due antilopi, sono due leoparde. Ogni passo delle scarpe chiodate sul tartan dell’Hayward Field era un graffio verso l’inesorabile crollo di due storici muri cronometrici.
Ho come la sensazione che le lepri luminose abbiano reso la caccia ai record un po’ più asettica che in passato. Vedere le lucine blu e verdi che seguono, affiancano o staccano l’atleta rende evidente anche all’occhio meno esperto che risultato presumibilmente si vedrà o non si vedrà sul cronometro. Sabato mi sono dovuto in parte ricredere, per colpa di Beatrice Chebet. Dopo aver cacciato la lepre a suon di pedate sui talloni dopo appena cinque giri, al passaggio dei 3000 era perfettamente in linea per correre sotto i 14:00, 8:22.9. Le lucine erano lì, ed era la logica a dirci che l’avrebbe fatto, considerato che il 25 maggio ha corso 8:11 sui 3000m a Rabat. Poi un paio di giri più lenti del previsto, un impercettibile calo di ritmo. Le lepri luminose sempre più lontane. Ma in Chebet non cambia nulla. Non cambia l’espressione facciale, non cambia la frequenza di corsa, non cambia l’oscillazione delle braccia e delle trecce. Sempre con le palpebre semichiuse e le pupille rivolte verso il basso, come a voler ingannare la fatica o forse semplicemente a non voler farsi accecare dal sole dell’una di pomeriggio.
E nella corsa di Chebet non cambia nulla neanche durante la progressione che parte dai meno 600m al traguardo, pochi decimi di secondo in meno ogni cento. Uno dei rari momenti in cui si vedono chiaramente i bulbi oculari di Beatrice è quando a meno 200m dall’arrivo alza lo sguardo verso il cronometro a bordo pista e legge 13:28..13:29..13:30.., e non è complicato il calcolo del tempo che ti separa dai 13:59. Basterebbe un ultimo mezzo giro di pista sotto i trenta secondi. È lì che la corda di Beatrice finalmente cambia e diventa un’altra atleta, le frequenze sembrano aumentare, ma sono i suoi piedi che semplicemente iniziano a spingere il doppio di prima. E dopo quattro giri in cui quelle maledette lucine non si vedevano più riaffiorano a 120m dal traguardo e vengono superate definitivamente a cinquanta dalla fine. 13:58.06, la prima donna a scendere sotto i 14 minuti sui 5000m in pista (aveva già fatto 13:54 su strada in una gara con atleti uomini), dopo essere stata la prima donna a scendere sotto i 29 minuti sui 10000m, sempre in questo stadio l’anno scorso. 34.2, 32.9, 28.8 sono i tempi dei suoi ultimi tre 200m. Ah, comunque dietro Agnes Jebet Ngetich ha corso il terzo tempo di sempre (14:01.29).
28.8 è lo stesso tempo di Faith Kipyegon per chiudere vittoriosa la sfida contro se stessa un’ora e mezza dopo. Per il terzo anno di fila riesce a stampare il nuovo record del mondo dei 1500m, la prima (e unica) donna a scendere prima sotto i 3:50 e poi, dopo sabato, sotto i 3:49. 3:48.68, un record mai veramente in dubbio, sempre decontratta e mai lontana dalle lepri luminose e quella umana. Una volata contro il suo fantasma sull’ultimo rettilineo, lo stesso cambio di ritmo di Chebet, e la luce la mette arriva alle sue spalle di oltre tre decimi. Da anni ormai l’unica ad impensierirla è se stessa, e non vedo ragione per la quale smetterà di battersi da qui alle prossime Olimpiadi. E la stessa cosa vale per Chebet. Le due si abbracciano alla fine della gara di Kipyegon, condividono la gioia di aver demolito due muri che fino a qualche anno fa sembravano solo roba da uomini. Due donne che hanno mostrato al mondo che è appena l’inizio.
Spazio ai giovani
Sono quattro i mesi che dividono il compleanno del nederlandese Niels Laros e dell’etiope Biniam Mehary, rispettivamente classe 2005 e 2006. Entrambi si sono presi due vittorie al fotofinish: un centesimo per vincere il Bowerman Mile il primo, due centesimi per vincere i 10000m il secondo. Entrambi sesti alle ultime Olimpiadi, nei 1500m e nei 5000m, ed entrambi alla prima grande vittoria internazionale forse spartiacque della prima stagione da veri contendenti per una medaglia ai Mondiali. Si sono incontrati la prima e unica volta quest’anno, al meeting indoor di Liévin in Francia, sui 3000m, primo Laros secondo Mehary (7:29.49 record europeo indoor under-23 vs. 7:29.99).
Laros lo si aspettava a questi livelli da un po’ di tempo, dopo aver vinto tutto tra gli under-20 e under-18 in Europa e dopo aver tolto il record europeo under-20 l’anno scorso a Ingebrigtsen (3:29.54). All'esordio da miler della stagione conquista una prima vittoria in Diamond League insperata, dodicesimo a 500m dalla fine e staccato dal bronzo dei 1500m di Parigi Nuguse di ancora tre secondi alla campana. Con un ultimo giro da 53.4 trova la strada spalancata in prima corsia da Habz e Nuguse in preda all’acido lattico, recuperando i 2.6 secondi di gap che aveva a 200 metri dal traguardo vincendo con un lancio di petto da velocista. 3:45.94 per diventare il terzo europeo e settimo al mondo di sempre sulla distanza.
Mehary è invece il volto nuovo di un’Etiopia sempre meno protagonista in pista. Fino all’anno scorso di lui non si sapeva nulla, poi il quarto posto ai Trials etiopi dei 10000m con 26:37 e quindi l’esclusione dal team olimpico, ma il fatto che non fosse neanche maggiorenne fu la vera notizia avendo corso il nuovo record del mondo di categoria. Il sesto posto a meno di un secondo dal bronzo di Grant Fisher è passato un po’ in sordina e si è tornato a parlare di lui dopo il secondo posto di Oslo sui 5000m in 12:45.93, secondo under-20 di sempre al mondo alle spalle del campione olimpico di Tokyo dei 10000m Barega. Sabato ha battuto Aregawi, l’argento di Parigi, in 26:43. Chissà che sia già arrivato il suo anno.
Veloce come è veloce il vento
Qualche folata di troppo ha reso le cose un po’ complicate per le atlete e gli atleti dei 400 e 400 ostacoli. Del Volo dei 400hs maschili mancava solo Karsten Warholm, il baritono dei tre, e i due tenori Alison dos Santos e Rai Benjamin si sono dati battaglia fino con il primo che l’ha spuntata per appena sei centesimi. 46.65 vs. 46.71, non tempi da mani nei capelli, ma quando si corre sotto i 47 secondi non ci possiamo lamentare.
C’era una certa attesa per Sidney McLaughlin-Levrone, la 400 ostacolista migliore di sempre, schierata sulla distanza piana (fuori dal programma principale di DL). L’obiettivo di puntare al record americano era abbastanza chiaro, o almeno avvicinarcisi (48.70 di Sanya Richards-Ross del 2006). Il 49.43 finale ha lasciato un po’ interdetti, considerato che Sidney ha già corso 48.74 nel 2023 e ha 50.36 sulla stessa distanza, ma con gli ostacoli. Che sono ostacolini, ma sono pur sempre da saltare. Sono andate tutte “pianino”, magari era davvero il vento. Anche gli uomini dei 400 non hanno fatto sfracelli, ma forse ci stiamo abituando troppo bene che con un 44.10 basso storciamo il naso. Il primatista europeo e medaglia d’argento a Parigi Matthew Hudson-Smith sta iniziando ad ingranare dopo le uscite in chiaro-scuro della Grand Slam Track. In generale i 400 maschili, a differenza di quelli femminili, questa stagione non hanno ancora mostrato grandi cose. Comprensibile, siamo ad inizio luglio coi mondiali a settembre, quelle “strane” sono le donne questa stagione.
La gara di velocità più entusiasmante è stata sicuramente quella dei 100 femminili. Melissa Jefferson-Wooden e Julien Alfred non hanno fatto rimpiangere la totale mancanza di condizione di Sha’Carri Richardson, stampando i due migliori tempi di sempre per i 100 femminili con almeno un metro di vento contrario, 10.75 e 10.77 con -1.5m/s. Con condizioni regolari potevano correre all’incirca un decimo in meno (tra 10.64 e 10.66), tempi da top 5 di sempre. MJF continua la sua striscia positiva di vittorie sui 100m (quattro) con la prima in Diamond League e interrompe quella di Alfred. Richardson ha il pass diretto per i Mondiali da campionessa in carica, ma non promettono bene le prime due uscite (11.47 e 11.19). Quantomeno non è infortunata.
Le gare di velocità breve del meeting più importante degli Stati Uniti senza Fred Kerley, Kenneth Bednarek e Noah Lyles sono state comunque degne di nota grazie a due signori in particolare: Letsile Tebogo e Kishane Thompson, due velocisti completamente diversi e arrivavano a Eugene con obiettivi diversi. Il primo doveva redimersi dalle ben poco degne di nota uscite di inizio stagione, sei gare tra 100 e 200 e mai sotto i dieci o venti secondi. Ed è tornato con prepotenza. 19.76 (World Lead) per vincere i 200 con la sua solita curva sorniona e il rettilineo lanciato con scioltezza. Tutto con una naturalezza unica. Si gonfia il petto all’arrivo a muso duro contro le critiche degli ultimi mesi, è tornato il solito vecchio Tebogo. Tutt’altro che “naturale” è Thompson, che si è presentato al Pre Classic non per riscatto, ma per mostrarsi al mondo per quello che il suo 9.75 della scorsa settimana dice: essere il principale candidato al titolo mondiale. E non ha deluso. Con la sua corsa tutta muscoli e poca rilassatezza non si ripete su tempi straordinari, ma gli basta 9.85 per staccare senza storie di sei centesimi due atleti ritrovati come Zharnel Hughes e Trayvon Bromell.
La sfida del minutaggio
Sì, è sono pure andati bene. La regia del Pre Classic, come capita spesso, ha dato ben poco spazio alle pedane.
Molto di questo se lo è preso Mondo Duplantis, che ha tentato il record del mondo a 6.29 senza mai andarci vicino. Non proprio la giornata ideale, con qualche difficoltà già a 6.00. Anche qui, il vento ballerino non aiutava gli astisti
Con quattro statunitensi in gara anche il getto del peso si è preso un po’ di minuti di trasmissione. Con cinque atleti sopra i 22 metri e il 22.48 del vincitore Joe Kovacs che scalza dalla World Lead il nostro Leonardo Fabbri fermo a 21.71. Record africano per il Nigeriano Enekwechi Chukwuebuka Cornnell (22.10) e doppio PB per Steen e Piperi, altri due atleti USA sopra i 22 metri secondo e quarto. Il getto del peso femminile non è stato da meno con cinque atlete sopra i 20 metri e Jackson Chase a 20.94 (meeting record), ad un solo centimetro dal suo fresco record americano (del 28 giugno).
Sono ventisei le vittorie consecutive della due volte campionessa olimpica Valarie Allman, che lancia il disco al record del meeting di 70.68 con quasi tre metri di vantaggio su l’altra americana Cierra Jackson al PB di 67.82. Mentre il disco maschile non ha dato tante soddisfazioni (ma tanto non ci hanno mostrato nemmeno gli highlights), con il primatista mondiale Mykolas Alekna a 70.97 che si vendica della sconfitta scottante alle Finals NCAA sul giamaicano Ralford Mullings. A parte Alekna tutti sotto i 69 metri, il campione olimpico Stona (futuro turco) appena 65.62.
È abbastanza assurdo che non ci sia stato fatto vedere mezzo lancio del martello, dove Winkler Rudy al terzo lancio ha fatto misurare il nuovo record americano e il nuovo record della Diamond League. 83.16, migliorandosi a trent’anni dopo quattro anni senza un PB e battendo il campione olimpico Katzberg di quasi un metro e mezzo. Un ragazzo che non ha mai vinto niente a livello internazionale magari si meritava un po’ di spazio in più. E pensare che pure nel martello femminile la canadese campionessa olimpica Carmyn Rogers ha lanciato il record nazionale e della Diamond League (78.88) e non se l’è filata nessuno.
Non me ne voglia Larissa Iapichino, ma l’aura di Tara Davis-Woodhall è unica. Dopo quattro salti mai sopra i 6.80 e un nullo, la campionessa olimpica supera all’ultimo salto della gara Malaika Mihambo atterrando a 7.07 contro il 7.01 della tedesca. Quando l’ho vista esaltarsi in modo a dir poco espansivo esultando verso il pubblico devo dire che mi sono gasato mentre sudavo da fermo sul divano di casa. La texana sa il fatto suo.
Prima che mi dimentichi
Athin Mu, ora Mu-Nikolayev, aveva vinto le olimpiadi di Tokyo sugli 800 che aveva 19 anni e ci aveva abituati bene, facendosi vedere quasi mai fino a Trials USA e poi all’evento internazionale. Da un paio d’anni si è inceppata. Quest’anno si è fatta vedere in un paio di gare secondarie (se non terziarie), ha corso tremila metri in un 5000 e due 1500 a maggio (uno da sola in 4.21 e un altro in gruppo in 4.10). Sta provando a cambiare qualcosa, ma non è che abbia reso granché, e non si conosce bene il motivo. Sabato non è mai stata in gara e non ha mai risalito posizioni. A ritmi che per lei dovrebbero essere agevoli è arrivata ultima in 2:03.44, staccata di quasi tre secondi dalla nona e più di sei secondi dalla vincitrice Duguma. A parte che mi ha fatto fare 0 punti al Fanta Diamond League, qua c’è da capire che succede, e in fretta. Non manca tanto ai Trials USA.
Ultima cosa. I 3000 siepi femminili, che poverine ho lasciato per ultime, hanno registrato il secondo punteggio del meeting per Result Score, dietro solo ai 1500 femminili, e di poco. Winfred Yavi ha di nuovo fallito il record del mondo per pochi decimi, 8:45.25 contro 8:44.32. Adesso l’atleta del Bahrein detiene quattro delle dieci migliori prestazioni di sempre sulla distanza. Con lei cinque atlete in totale sotto i nove minuti. Non era mai successo prima di sabato, alla finale di Parigi erano in quattro.
Siamo andati decisamente lunghi, ma la stagione è finalmente entrata nel vivo. Aspettavo questo meeting da tutta la settimana e mi andava di parlarne in profondità. Non ho avuto molto tempo questa settimana e mi sono concentrato solo sul Pre Classic. Capita, spero sia stata comunque una lettura utile!
Ci sentiamo lunedì prossimo.
Jacopo
Curiosità dai social
Non chiedetevi perché adoro Tara Davis, chiedetevi perché non la adorate voi ancora
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