Ogni tanto bisogna fare polemica
Questioni di sistemi, Kelly Doualla, Diamond League nordica e la fine della GST - Off Track #11
Foto di copertina Colombo FIDAL / FIDAL
La scorsa settimana ci sono state le finali nazionali universitarie americane (NCAA Championships). Mi ero preparato tutta una bella spiegazione su come funziona il sistema dei college americani, ma nel frattempo sono successe un paio di cose che me l’hanno fatta cestinare. Forse meglio così, la tengo per me. Partiamo dall’inizio.
Ogni volta che guardo oltreoceano (ma in realtà basterebbe guardare oltralpe) un po’ mi arrabbio. Mi sono sempre chiesto se in Italia il fatto che vengano fuori atleti di alto o altissimo livello sia più frutto del caso che del sistema sportivo in sé. E va bene, in USA sono cinque volte noi e hanno i miliardi da investire; con le dovute proporzioni però non facciamo veramente nulla per fare in modo che lo sport non sia solo una passione, un gioco o un passatempo per tenersi in forma. Non riesce ad entrare nella nostra cultura sotto forma di sviluppo personale, umano e sociale. Non lo integriamo nei programmi scolastici e nel caso dell’atletica non riusciamo a dare profondità ad un movimento che (abbiamo visto) ha delle potenzialità. Perché ora ci crogioliamo delle medaglie di Tokyo, Parigi e Roma, ma non abbiamo davvero capito da dove siano arrivate. O forse non ci siamo voluti dare delle risposte serie, perché ci avrebbero scontentato. È giusto festeggiare, ma i nostri atleti e le nostre atlete non vincono perché sono italiani, ma nonostante siano italiani.
La Federazione è sempre pronta a prendersi “giustamente” i meriti per i risultati che ottengono i propri atleti, ma cosa si fa davvero per creare la base sulla quale far poggiare le nostre punte di diamante? Si sostengono lautamente gli atleti che di sostegno ne hanno già abbondantemente, con bei contratti da parte degli sponsor e ingaggi pesanti per gareggiare, e non si pensa a come alzare un livello medio (di cui mi sento colpevolmente di far parte) che gioca un altro campionato confrontato con i vicini di casa (Francia, Spagna, Regno Unito ecc.). Si lascia tutto in mano alle decisioni dei gruppi sportivi militari. Nessun progetto serio e duraturo negli anni, qualche raduno specchietto per le allodole, facciamo amicizia, ci stringiamo le mani, ci diciamo quanto siamo belli e bravi, tutti a casa felici e contenti. I meeting internazionali di livello medio-alto sono una manciata, le piste indoor non parliamone, i tornei scolastici non sappiamo cosa siano; la volontà di alcune realtà per fare qualcosa di concreto c’è, ma manca una spinta solida e strutturata. È tutto sparso e confusionario.
Delle specialità che ora vantano una certa profondità ci sono (a cui si aggiunge la marcia, che però è profonda da sempre), anche se spesso distanti dai nostri rivali europei. Il mezzofondo veloce maschile e (in parte) femminile ne è un esempio; salto in alto maschile, 400m e ostacoli femminili. A me pare che la maggior parte di ciò sia però più frutto dell’entusiasmo delle ragazze e dei ragazzi (assieme ad allenatori ed allenatrici) che di un merito di un sistema impegnato ad alzare il livello. È chiaro che non possiamo ambire alla realtà statunitense, ma quella attuale non mi sembra tutta rosa e fiori come spesso ce la vogliono mostrare.
Ed è importante capire come funziona il sistema dei college, seguire atlete e atleti made in USA per non rimanere sorpresi e capire da dove arrivano quelli che vanno più forte di noi. È un sistema che porta la competitività a livelli estremi, esprimendo la cultura della sopravvivenza capitalistica tipica degli Stati Uniti al massimo della sua potenza. La selezione finale è cruda, ma le opportunità ci sono, e per tanti. A 23 anni si è già atleti e atlete mature, con esperienze in competizioni di altissimo livello. Si imparano a sopportare i turni di gare su più giorni, viaggiando e si confrontandosi con realtà diverse dalla propria, uscendo dal proprio orticello già prima dei vent’anni. Ne bruciano tanti, ne escono altrettanti. Magari poi non ce la fai. Nel frattempo però hai potuto fare attività al massimo delle tue possibilità, in un contesto unico e ti sei laureato. Mica male.
Quando un ragazzo italiano di ventisette anni corre i 5000m in 13:25 vedi questo, un ragazzo che ha corso a 2’41”/km per dodici giri e mezzo, e viene da dire bene “va bene dai bravo, ma niente di che”. Io invece vedo un ragazzo che si è laureato in medicina, che fa lo specializzando, che fa i turni di notte a volte unendolo al turno della mattina e del pomeriggio, che gli unici raduni a cui partecipa sono quelli da medico con la nazionale di sci in giro per il mondo o dell’atletica giovanile. Vedo i risultati di un ragazzo con un talento enorme alla quale la Federazione ha smesso di contribuire da quando è “diventato grande”, perché ha l’unico difetto di non voler vivere di atletica e di essere un ragazzo intelligente che ha voglia di studiare e curare le persone. Perché abbiamo una cultura e un sistema esattamente opposto a quello statunitense, che non solo non incentiva le ragazze e i ragazzi come Sebastiano Parolini, ma gli si mette di traverso.
E quindi ora, a meno che Yeman Crippa non rifiuti l’offerta della Federazione di correre in Coppa Europa tra una decina di giorni, lui non verrà nemmeno preso in considerazione. Perché nessuno può dire nulla sulla scelta di portare il mezzofondista prolungato più forte della nostra storia in Coppa Europa, ci mancherebbe. Ma è proprio il discorso della base medio-alta di cui sopra. Cosa si fa per incentivare “noi” atleti della base a fare qualcosa in più di quello che facciamo ora se si decide già a dicembre sull’aereo di ritorno dai campionati europei di cross (fonte: le mie orecchie) di portare Crippa in nazionale a prescindere da tutti gli altri? Un Crippa che ormai fa la maratona, sarebbe quasi giustificabile se fosse ancora lo specialista di qualche anno fa. Nemmeno quello.
E quindi ora che Parolini ha fatto quello che ha fatto1 nonostante faccia una vita estenuante come quella del medico specializzando per l’ennesima volta deve sperare nelle scelte di altri atleti considerati più professionisti di lui per potersi guadagnare una maglia azzurra. E di nuovo, non ne faccio una questione di chi è più forte e basta. È ovvio che Crippa sia il più forte di tutti. Anche in caso di convocazione (che spero) è una questione del tipo “Bene, allora diteci cosa corriamo a fare? O facciamo il record italiano o non veniamo considerati?”. E io, e altri fortunati come me, siamo pagati per farlo. Abbiamo le motivazioni per continuare, nonostante tutto. Ma tutti i ragazzi e le ragazze come Sebastiano cosa devono fare? Ah sì giusto, andarsene via. Magari proprio negli Stati Uniti.
Bisogna saper sorridere, a quindici anni
Quando c’è un grande risultato, soprattutto di una/un atleta molto giovane, ci si limita a questo per cercare di capire il genere di fenomeno che ci troviamo di fronte. Quanto potrà ancora migliorare? Fin dove potrà arrivare? Chissà che genere di allenamenti fa. Ciclicamente mi trovo a riflettere su questi e altri aspetti non tanto dal risultato in sé, ma da quali sono le reazioni dell’atleta che quella gara l’ha fatta. Perché quando si ha quattordici, quindici, sedici anni bisogna fare atletica, e fare sport in generale, con leggerezza. Sì, anche seriamente, ma con leggerezza. Una leggerezza che man mano che si diventa grandi è difficile da custodire. Alcuni riescono a mantenerla viva, altri la vedono scomparire, fino a non farcela più.
Se a quindici anni corri un 100m in 11.37, ovvero il record italiano under-20 (e quindi anche under-18), diventando la quattordicesima (assoluta) di sempre della specialità oltre che la nona europea under-18 della storia e le tue prime parole, con la faccia sconsolata, sono
Mi aspettavo di meglio contando le ultime due settimane di allenamento, però è comunque un tempo migliore rispetto agli altri, quindi è un miglioramento e mi va bene così.
Non so quanto si vada in quella direzione, della leggerezza.
Ovviamente sto parlando della reazione a caldo di Kelly Doualla alla finale oro dei Campionati di società. E quando Andrea Benatti di QA, probabilmente un po’ sorpreso dalla reazione dell’atleta, che cita il caldo e le condizioni quanto meno poco agevoli sostiene (a ragion veduta) che il motore abbia ancora qualcosa da dare, la risposta secca e sconfortata è
Si spera…
La cito perché mi ha particolarmente scosso. Non le voglio attribuire alcun genere di colpa o di comportamento scorretto, ma quando a quell’età fissi l’asticella così tanto in alto da essere delusa di un record italiano addirittura della categoria successiva per me, per come vedo io l’atletica, c’è qualcosa da aggiustare. E va benissimo rendersi conto dei propri mezzi (enormi), capire di essere in prospettiva la velocista più forte della storia del nostro paese e avere la carica giusta per fare in modo che accada; e io spero con tutto me stesso che accada. Allo stesso tempo a quindici anni non concedersi una reazione soddisfatta per una prestazione oggettivamente sorprendente non è un bene.
Io spero che questa ragazza abbia intorno le persone giuste non solo per poter continuare a crescere e migliorare come atleta, ma per avere i mezzi migliori possibili per imparare a leggere i risultati che via via otterrà. Per ricordarle che la strada è lunga. Perché non possono festeggiare tutti tranne lei.
La campagna del Nord
La distanza di tre giorni tra le due tappe di Diamond League del Nord Europa, Oslo giovedì e Stoccolma domenica, crea una sorta di connessione tra le due capitali scandinave che ha un fascino unico nel calendario di gare durante l’anno.
I due stadi centenari sono due strutture che trasudano l’epoca dalla quale provengono e che non hanno nulla a che vedere con l’avvenirismo architettonico privo di emozioni degli stadi moderni. Gli oltre 15mila seggiolini verdi del Bislett Stadion di Oslo, incastonato tra i palazzi e costruito sulle ceneri di una fabbrica di mattoni del 1800, circondano completamente la pista a due passi dalle corsie. L’Olympiastadion di Stoccolma è quasi identico a com’era oltre cent’anni fa, visto dall’esterno sembra una città fortificata: finestrelle e archi lungo il perimetro di mura di mattoni scuri, il portone d’ingresso da castello medievale per metà ricoperto dall’edera e due torri che si innalzano dal lato opposto della pista.
E poi l’unicità della luce del Nord. Il Sole di mezzanotte che sembra non tramontare mai; la luce naturale che illumina la pista per tutta la durata delle gare rende le fotografie e le immagini inimitabili.
Non più tanto Young
Bocca spalancata, mascella rigida, occhi semichiusi, le braccia che avanzano con violenza sembrano chiedere al resto del corpo "ma cosa diavolo stai facendo?". In mezzo alla scioltezza degli africani un ragazzino bianco, magro e alto, che corre in questo modo sembra stonare, lo dai per morto dal primo giro. Poi ti concentri su piedi e gambe, e capisci perché dopo dodici giri sia lui quello davanti.
Per la prima volta giovedì sera sui 5000m a Oslo si è mostrato al mondo uno dei più grandi talenti del mezzofondo statunitense degli ultimi anni. Ci si aspettava una sfida tra Kejelcha e Gebrhiwet (quarto e secondo di sempre) all’attacco del Record del mondo. Invece è stata suonata un’altra canzone. Nico Young (12:45.27), con un ultimo giro da 55.26, conquista una delle migliori vittorie del mezzofondo statunitense in Diamond League. "It's me. Hi. I'm the problem, it's me" direbbe citando Taylor Swift, la sua cantante preferita. Nel mondo del sport statunitense e non, caratterizzato dalla tracotanza degli uomini duri tutti d'un pezzo, la sua umiltà e leggerezza sono l'eccezione. Facciamone tesoro.
Nuovo record americano outdoor (Fisher ha corso circa un secondo più forte indoor), tredicesimo di sempre al mondo. La cosa curiosa? Lo ha fatto con le Adidas Ambition, che non sono le solite “super scarpe” al carbonio. Ah sì, ha ventidue anni. L’anno scorso, ancora atleta-studente della Northern Arizona University, è arrivato dodicesimo a Parigi sui 10000m. Il primo collegian della storia a scendere sotto i 27:00 nei 10000m e i 13:00 nei 5000m, vincendo due titoli NCAA indoor.
Young deve ringraziare la progressione degli ultimi tre giri del britannico George Mills. Quarto all’arrivo, supera di sette secondi il record UK di Mo Farah, diventando il secondo europeo di sempre (12:46.59), dietro solo allo squalificato per quattro anni Mohamed Katir. Con il settimo posto di Graham Blanks, appena uscito da Harvard, che registra il terzo tempo di sempre USA (12:48.20), sono tre gli americani sotto i 12:50 in questa stagione. Buona fortuna ai Trials per i Mondiali.
ROI - Return On Investments
Ci salutiamo con una notizia che sinceramente non pensavo sarebbe arrivata. O almeno, non adesso e non così. È stata annullata la quarta e ultima tappa del Grand Slam Track, prevista a Los Angeles il 28-29 giugno.
“Siamo stati e saremo una lega votata alla trasparenza” sono le parole che accompagnano il video di Michael Johnson nell’annunciare la decisione di non proseguire per quest’anno con il GST. Ma con tutta sincerità qui di trasparenza ne vedo ben poca. Non è che semplicemente dicendo “siamo trasparenti, non faremo più il GST quest’anno per garantirne la sostenibilità finanziaria” allora hai spiegato in modo trasparente il motivo della decisione.
Com’è possibile che conoscendo le spese in partenza per i soldi da dare agli atleti nel corso delle tappe si sia arrivati ora a questa decisione? Cos’è cambiato? Pochi incassi di diritti televisivi e biglietti? Quando hanno fatto il business plan hanno considerato di riempire gli stadi con che percentuale? Quali erano le prospettive di guadagno e la differenza con quello ottenuto? Un prospetto dei costi? Nulla.
Non ci è stato detto praticamente nulla se non siamo stati bravissimi, abbiamo rivoluzionato il mondo dello sport, tutti ci fanno i complimenti. E poi chiudi in anticipo. Va bene che “siamo una start up e bisogna prendere decisioni difficili”, ma questo è uno scivolone di credibilità non da poco. Perché lasciando stare le difficoltà finanziarie che tutti potevano aspettarsi nel primo anno di vita della lega, la questione è proprio la credibilità. Non essere limpidi in quello che ti porta a prendere una scelta così drastica fa crollare la tua reputazione, perdi credito non solo tra i fan, ma anche e soprattutto per i potenziali investitori futuri, se ma ci sarà una GST in futuro a questo punto.
Considerato che la prossima è la stagione “vuota”, senza Mondiale e Olimpiade, perdere il GST sarebbe un peccato. Vedremo.
Intanto grazie di essere arrivata o arrivato fin qui.
Ci rivediamo lunedì prossimo!
Jacopo
Curiosità dai social
E a proposito di giovani talenti (che tra l’altro ha corso 11.37 sui 100 come Doualla)
Warholm a rallenty fa ancora più paura
Manca poco!
Venti secondi di record personale correndo uno dei dieci migliori tempi da cinque anni a questa parte su una delle distanze più in crisi del nostro sport (crisi di cui faccio parte), che questo inverno ha contribuito alla vittoria della staffetta mista ai Campionati europei di cross ed è arrivato secondo agli italiani di cross corto dopo il titolo del 2024
Parolini direttamente maglia azzurra in questo momento è lui il più forte ,dimostrate che Crippa in questo momento sa fare di meglio
Sai come la penso.. l'Italia non è un paese meritocratico e l'atletica non è certo avulsa dal sistema purtroppo.. sottolinerei il pensiero sulla Dualla..se si esprime così una parte potrebbe essere assimilabile al fatto che e poco più di una bambina dall' altra però e chiaro che vive delle pressioni che non fanno bene..a questo punto i vertici dovrebbero tutelarla non esaltarla..alla sua età e un attimo innamorarsi di altro..e allora poi giù a scatenarsi i processi alle intenzioni!